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Teatro Fenaroli Lanciano

Teatro Fenaroli Lanciano

Prosa - MISERIA E NOBILTÀ

  • Pubblicato in Prosa
Lunedì 28 Gennaio 2013 ore 21
di Eduardo Scarpetta
con Geppy Gleijeses, Lello Arena, Marianella Bargilli
Regia di Geppy Gleijeses
Teatro Stabile di Calabria/Teatro Quirino
BIGLIETTI ESAURITI

“Miseria e nobiltà” vede la luce nel 1888. È uno dei testi originali di Scarpetta. Certamente il più famoso e riuscito. Ho operato il mio adattamento lavorando su varie fonti disponibili: il testo originale, la versione di Eduardo De Filippo, il film di Mario Mattoli, il film con Vincenzo Scarpetta, lo spettacolo di Mario Scarpetta, ecc. È strano, ma comunque lo si legga dal riformatore della commedia napoletana, il “borghese” Scarpetta, viene fuori una pièces e una condivisione delle ragioni dei miseri che lo avvicina più a Gor’kij che non a Wilde: più ai pezzenti che ai nobili. E infatti vedremo un primo atto (la miseria) esangue e affamato, popolato di morti viventi che si azzannano tra di loro e che hanno perso qualsiasi dignità. Si ride, ma si ride amaro. Il palcoscenico è nudo, una tavola, poche sedie e una grata sospesa nel vuoto illuminata in tralice sottolineano l’essenzialità ineluttabile di questo mondo di straccioni.

Nella seconda parte (la nobiltà) è tutto finto e luccicante, quinte di carta dipinta, fondalini d’antan, cuochi e salcicce ritratti ovunque, un padrone di casa “pezzente sagliuto” e tanti finti nobili travestitisi nella sartoria del San Carlo; ce n’è uno solo vero ed è un vecchio bavoso che tenta di concupire una ragazza. C’è un lieto fine ma la miseria resta miseria e la nobiltà non esiste. Felice dirà: “Il mondo dovrebbe essere popolato solo da gente ricca, danarosa… la miseria non doveva esistere!” Più chiaro di così.

Di “Miseria e nobiltà”, come di tutti i capolavori, si crede di sapere tutto, ma oltre il gioco scenico che abbiamo rispettato fino in fondo, ci sono e si scoprono sempre nuove spigolature, angoli visivi insospettabili che fanno di un bel testo un classico eterno.

Geppy Gleijeses

 

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Prosa - IL BORGHESE GENTILUOMO

  • Pubblicato in Prosa
Sabato 19 Gennaio ore 21

con Massimo Venturiello e Tosca

Regia di Massimo Venturiello

Musikeria e Officina Teatrale

Biglietti in vendita presso il botteghino del teatro (lun/sab 16.30/19.30) e online

Con il Borghese Gentiluomo, Molière creò una novità assoluta, non è facile infatti trovare la giusta definizione per questo indiscusso capolavoro che, riduttivamente, viene definito una comédie-ballet.

L’estrema libertà con cui l’autore tratta la vicenda, i toni farseschi, satireggianti, gli elementi fiabeschi, onirici, la prosa densa di ritmo, la tessitura musicale scritta da Jean-Baptiste Lully, la coreografia dei balletti, il tutto, è teso a una teatralità assoluta di grande effetto comico.

La trama è molto semplice: un ricco borghese sogna di diventare nobile, lo desidera con tutte le sue forze, lo pretende con un’esaltazione fuori dal comune. Intorno a lui ruota un’umanità di adulatori e di scrocconi, un’umanità priva di autentiche qualità, che si nutre di ‘senso comune’, che ovviamente lo raggira e asseconda la sua follia, pur di ottenerne un guadagno.

A questi si contrappone la moglie del protagonista, tutta senso pratico e concretezza, che cerca in ogni modo di farlo rinsavire.

Di fronte all’ennesimo rifiuto del ‘borghese’ di dare in sposa sua figlia al ragazzo che ama, perché privo di nobili natali, tutti d’accordo gli giocano la beffa finale attraverso la famosa ‘Cerimonia Turca’ e anche la moglie che, pur criticandolo aspramente ha fino ad allora cercato di proteggerlo, gli si schiera contro lasciandolo definitivamente solo, nella sua folle utopia.

La nostra lettura di questo grande classico del teatro internazionale non intende tradire in alcun modo le intenzioni dell’autore, ma al contrario approfondirle, rispettando anzitutto quello spirito di libertà che anima l’intera opera. Non ci saranno pertanto limiti geografici e temporali e l’azione si collocherà in una atmosfera visionaria (complice lo scenografo Alessandro Chiti e la costumista Santuzza Calì) che avrà un sapore napoletano-parigino, con tutto quello che ne consegue, dalla lingua parlata alla musica.

In particolare le musiche originali di Germano Mazzocchetti, andranno in questa direzione e accresceranno l’ironia insita in tutto il lavoro, ricercando arrangiamenti e sonorità che spazieranno dal rinascimento alla sceneggiata napoletana.

I brani cantati, alcuni dei quali già previsti dall’autore e le coreografie di Fabrizio Angelini, contribuiranno a ‘mostrare’ la vicenda di questo ‘borghese’ accentuandone con sottile sarcasmo, la miseria ideologica. Pur essendo la musica e la danza protagoniste assolute, non credo però che sia corretto accostare questo allestimento a generi teatrali come il Musical o la Commedia musicale. Senz’altro ci saranno momenti che li ricorderanno, ma all’interno di una varietà stilistica che è la peculiarità di questa originalissima opera di Molière-Lully. L’obiettivo da raggiungere è quello di costruire un prodotto fortemente popolare, nel senso più alto, capace cioè di coinvolgere e divertire lo spettatore, stimolandone una riflessione, attraverso il racconto di un microcosmo, nel quale, malgrado la lontananza temporale, è facile rispecchiarsi. Non è forse a noi molto vicino questo ‘borghese’, con la sua necessità di adeguarsi al gusto dominante, che nega le sue origini, i suoi valori e che è pronto a trasformarsi in ‘altro da sé e a modificare persino la sua immagine fisica? Non è forse una malattia del nostro tempo quella di inseguire patologicamente un ideale fisico e psichico imposto dai nostri media? Non siamo forse circondati da eterni giovani, da bellezze siliconate, da rampanti pronti a tutto? Questo allestimento, che oltre a me e a Tosca, vede in scena un nutrito cast di attori, ballerini e cantanti, alcuni dei quali già presenti in altri nostri precedenti spettacoli, rappresenta inoltre una caparbia necessità di mettere in scena il ‘gran teatro’, a dispetto dei tagli e delle logiche di mercato dominanti, che inevitabilmente impongono agli enti privati una linea produttiva restrittiva e di conseguenza pericolosa per il futuro del nostro teatro.

Massimo Venturiello

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Tutti insieme appassionatamente IL MUSICAL

  • Pubblicato in Prosa
martedì 18 dicembre ore 21

Basato sul libro di Maria Von Trapp “The Family Singers” e sulla sua versione cinematografica tedesca

con Carolina Ciampoli, Gabriele de Guglielmo e i ragazzi Von Trapp - Regia e coreografie di Fabrizio Angelini

Biglietti in vendita presso il botteghino del teatro (lun/ven 16.30/19.30) e online

Salisburgo, Austria, 1938. Maria è un'orfana allevata in un convento, è diventata novizia e sta studiando per diventare una suora; le altre consorelle, però, specialmente la Maestra delle novizie, hanno seri dubbi sulla reale vocazione della ragazza, che ama anche cantare e ballare ed è spesso indisciplinata.

Per metterla alla prova, la madre superiora decide di mandarla come governante dei sette figli (5 ragazze e 2 ragazzi) di un vedovo, già comandante della Marina Imperiale Austriaca, il Capitano Georg Ritter von Trapp. I sette bambini (Liesl, Friedrich, Louisa, Kurt, Brigitta, Marta e Gretl) dimostrano la loro ostilità nei confronti della nuova istitutrice - la dodicesima - ma dopo una serata in cui si rifugiano nella camera di Maria perché impauriti da un temporale, i loro sentimenti per la novizia cambiano radicalmente.

Un giorno, Maria decide di portare i ragazzi a passeggiare per Salisburgo (con dei "vestiti da gioco" ricavati dalle vecchie tende della sua camera) e, arrivati su di una collina, insegna loro a cantare. Al ritorno, in barca, incontrano il capitano e la baronessa, sua promessa sposa. Georg rimane scandalizzato da quei vestiti multicolori ed ordina a Maria di tornare in convento; ma sarà una canzone cantata dai figli a fargli cambiare idea: «Lei ha riportato la musica in questa casa» sono le parole che rivolge a Maria, e che la convincono a rimanere fino a settembre.

La baronessa chiede a Georg di organizzare un ballo dove lei potrà conoscere i suoi amici; durante la serata di gala Georg balla una danza tipica austriaca con Maria - che arrossisce, non volendo ammettere d'essersi innamorata - ed i bambini canteranno una canzone prima di andare a dormire. Lo stesso capitano discute aspramente con un membro del nazismo. La baronessa, avendo capito l'amore del capitano per Maria, riesce a stuzzicarla per farla tornare in convento; Maria abbandona quindi i Von Trapp.

Qualche giorno dopo, il capitano annuncia il suo futuro matrimonio con la baronessa; i bambini non accettano la cosa e raggiungono di nascosto il convento di Maria per convincerla a tornare. Purtroppo Maria è in clausura, e non può e non vuole ricevere visite. La madre badessa la chiama e, accortasi che Maria si è innamorata del capitano, la convince a tornare con la celebre frase: «Non puoi usare il convento per nasconderti dai tuoi problemi! Tu li devi affrontare!». E questo basta a mettere le cose a posto: il capitano rompe il fidanzamento con la baronessa e si sposa con Maria.

Ma durante la loro luna di miele, l'Austria viene invasa dai nazisti. Il capitano Von Trapp, tornato a casa, riceve la richiesta di servire la marina tedesca; ma l'amor di patria prevale su tutto, e il capitano organizza la fuga della famiglia in Svizzera. Viene però tradito dal suo maggiordomo, anch'egli, segretamente, nazista. Per salvarsi, il capitano finge di partecipare con la sua famiglia al festival Canoro di Salisburgo: i Von Trapp riescono a vincere ed approfittano della cosa per scappare e rifugiarsi nel convento di Maria. Grazie all'aiuto della suore - che sabotano l'automobile dei nazisti venuti a perquisire il convento - i Von Trapp riescono finalmente a fuggire in Svizzera.

 

 

 

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PROSA - EVA CONTRO EVA

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Sabato 17  Novembre 2012 ore 21

di Mary Orr - versione italiana di Maurizio Panici e Marzia G. Lea Pacella

con Pamela Villoresi, Romina Mondello, Luigi Diberti e con Massimiliano Franciosa e Maurizio Panici, Silvia Budri Da Maren, Giulia Weber

Regia di Maurizio Panici

Associazione Teatrale Pistoiese/Artè Teatro Stabile d’Innovazione in collaborazione con La Versiliana Festival

Biglietti in vendita presso il botteghino del teatro e online

Il mondo del teatro come rappresentazione del mondo.

Una piccola e agguerrita comunità che è specchio della società, con le sue piccolezze, le sue ossessioni, il desiderio di arrivare a conquistare una posizione sociale riconosciuta e rispettata. Classi sociali diverse, che si riflettono, si evitano e si scontrano.

Ma soprattutto esseri umani in lotta per una posizione dominante nella società.

Quanto di più attuale, oggi, potrebbe essere oggetto di scrittura se non questo acido e caustico affresco di uomini e donne che si affannano disperatamente alla ricerca di un attimo di celebrità: così Eva vs Eva si offre come sintesi di un quadro così a noi vicino, dove l'apparire è massima aspirazione per sentirsi "vivi", per poter esistere.

Alla fine di questa estenuante battaglia, Margo Channing capirà che la vita vale la pena di essere vissuta e cederà volentieri il passo alla nuova arrivata, già minacciata a sua volta dall'arrivo della prossima Eva.

Così, in una realtà dove sempre più velocemente si consumano fragili miti, la decisione della protagonista Margo, si fa scelta consapevole e controcorrente rispetto alla vacuità con cui le nuove arrivate si affacciano sorridenti sulla scena del mondo.

In un momento storico dove tutti si specchiano negli occhi di chi guarda, sottrarsi alla scena, scomparire, si fa atto consapevole e profondo, rispettoso del sé.

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PROSA - LA PURGA

  • Pubblicato in Prosa

6 novembre 2012 ore 21

di Georges Feydeau - adattamento di Arturo Cirillo
con Arturo Cirillo: Fallavoine
Sabrina Scuccimarra: Giulia, moglie di Follavoine
Luciano Saltarelli: Totò, figlio di Follavoine
Giuseppina Cervizzi: Rosa, cameriera e Signora Chouilloux

Rosario Giglio: Chouilloux, funzionario del ministero della guerra
Regia di Arturo Cirillo
Teatro Stabile delle Marche

Biglietti in vendita presso il botteghino del teatro dal 29 ottobre (lun/ven 16.30/19.30)

2012cirillo_George Feydeau appartiene a quegli autori di cui si pensa di conoscere tutto, autori che non potranno più sorprenderci. Ho l'impressione invece che il nostro abbia varie cose dentro al suo cilindro, e nella sua testa, e di conseguenza nel suo teatro. Intanto parlerei di una certa "pericolosità" presente nei suoi testi, dove mi sembra che si è sempre al limite del non senso e della tragedia, dell'esplosione, del meccanismo esasperato e portato al parossismo. Mi sembra che la sua scrittura anticipi quel teatro dell'assurdo, come schematicamente è stato definito, dove l'impasse, il concetto che non riesce ad esprimersi, l'azione che non riesce a compiersi, l'incidente, diventano elemento sostanziale del farsi teatrale. La purga inizia con una lunga scena in cui il centro sfugge continuamente, dove la conversazione devia ossessivamente, se di conversazione si può parlare e non invece di una sequela d'invettive intercalate da lamenti, sospiri e rimpianti; perché inaspettatamente i personaggi di questa commedia sono molto emotivi. Tutti tranne forse il bambino Totò, o Bebè come a volte è anche chiamato, questo criminale in nuce mi ha fatto pensare al protagonista del testo di Roger Vitrac (tanto amato da Antonin Artaud) Victor o i bambini al potere, e ho incominciato ad immaginare il piccolo Totò interpretato da un attore grande, un bambino-adulto come dovrebbe essere Victor secondo il suo autore: ragazzetto di nove anni ma alto un metro e novanta. E restando in questo orizzonte surreale mi sono ricordato di una scena di un film di Bunuel, Il fantasma della libertà, dove si racconta di una visita in una casa alto borghese, in cui gli ospiti si accomodano intorno a un tavolo seduti su dei gabinetti, in cui si discetta di escrementi, e poi si va di nascosto a mangiare in una stanzetta. Un costruttore di igienici sanitari, dal gabinetto al lavabo passando per tazze da notte, che poi saranno uno degli argomenti centrali della vicenda, attende la visita di un importante funzionario del Ministero della Difesa, che però non ha mai fatto il militare poiché miope, che dovrebbe affidargli la commissione di un gran numero di vasi da notte come dotazione per i militari dell'esercito. Poiché l'industrialotto, di cui sopra, ha inventato una sedicente porcellana indistruttibile con cui costruisce i propri vasi, il ministero è molto interessato al prodotto e manda un funzionario per verificarne i pregi. Il genio malefico di Feydeau decide di portare nella vicenda l'azione parallela e per niente contraddittoria del figlio del costruttore di sanitari, Totò appunto, che la mattina si è svegliato costipato e ha bisogno di purgarsi. L'oggetto in cui si compie e l'atto stesso del defecare diventano di conseguenza il perno della vicenda e anche l'oggetto centrale dell'abitazione della nostra famiglia. In un gioco di ipocrite omissioni, e convenzionali relazioni, i nostri personaggi alluderanno continuamente all'atto di defecare restando nella cornice di un salotto borghese dove però al posto delle sedie vi sono dei water, con relativo sciacquone. Mi sono immaginato un interno di una casa degli anni '60-'70, in cui la funzione fisiologica convive con le problematiche di una famiglia borghese: il difficile rapporto tra i due coniugi, il problema del tradimento, le liti su la servitù, le regole dell'ospitalità, il buon nome della famiglia ecc. E diversamente dal Falstaff verdiano dove tutti sono alla fine beffati qui son tutti purgati, lo sporco che abbiamo dentro ha la meglio su quel che mostriamo fuori, il corpo rivendica il suo monotono e circolare movimento biologico, come la porcellana rivendica la sua natura distruttibile.

 

 

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Prosa - La fiaccola sotto il moggio

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Giovedì 26 Aprile 2012 ore 21

di Gabriele D’Annunzio

Regia di Serena Sinigaglia

ATIR Milano

09_26apr2012_2…l’ineluttabile distruzione dell’essere… prima forte impressione… primo importante spunto di riflessione….

Viviamo in un’epoca di crisi economica e culturale, dove la corruzione e la menzogna sono gli unici punti fermi su cui “contare”. D’Annunzio scrisse quest’opera nel 1905, più di un secolo fa, eppure il senso di decadenza che pervade l’antico castello di Anversa, dimora della famiglia dei Sangro, dove tutto è “vetusto, consunto, corroso, fenduto, coperto di polvere, condannato a perire”, è lo stesso di questi nostri tempi bui. Il disfacimento fisico del luogo è metafora di quello umano. L’umanità che abita il castello è un’umanità malata e debole o colpevole e maligna. La purezza si ammala, la verità si corrompe, e tutto frana come sotto una scossa di terremoto. Esistono punti di non ritorno nella vita di un uomo così come nei cicli storici, momenti irripetibili di crisi assoluta dai quali ci si può rialzare solo dopo la piena distruzione, il crollo definitivo, insomma. Questo sembrano suggerirci le parole tragiche di D’Annunzio. Mettere “la fiaccola sotto il moggio”, nella bibbia, significa occultare la verità. Però quando Gigliola decide di alzare la fiaccola e di far emergere l’atroce verità che pesa sul capo del padre Tibaldo e della matrigna Angizia, la situazione, invece di migliorare, precipita. La forza della verità non fa che accelerare il processo di disfacimento, quel crollo, già in atto da tempo, della casa e della famiglia. Dunque la verità non salva, non cura, ma finisce l’opera che la menzogna e il crimine hanno cominciato. Per chi, come me, è cresciuto nella convinzione che il dialogo, l’accoglienza, la tolleranza, il cambiamento e soprattutto la verità siano e debbano essere la giusta via per porre rimedio ai mali dell’uomo e del mondo, le opere di D’Annunzio risultano scomode. Pensare di dover distruggere per poter rigenerarsi è un pensiero violento e assolutista che, ragionevolmente, non piace e spaventa. Eppure oggi mentre lo rileggevo pensavo che, indipendentemente da come la si pensa, tutto questo è accaduto e può accadere. Farci i conti è il solo modo per sperare di poterlo cambiare.

…ed ora più concretamente…come procedere…a quale forma teatrale tendere…

Lavorerò con cinque attori sempre presenti sulla scena, anche quando il testo non lo prevede. Sempre in scena, come se fosse impossibile sfuggire a quel declino. Come se non esistessero vie di fuga, esattamente come D’Annunzio sembra volerci suggerire. Un fato ineluttabile che incombe sui protagonisti e che non può essere evitato.

Due uomini e tre donne che ricopriranno un doppio ruolo ciascuno.

Luce e ombra, musiche di tensione e di potenza emotiva, pochi oggetti simbolici che nuotano in uno spazio vuoto di macerie e ruderi.

Gli attori, vestiti a lutto, saranno gli officianti di questo rito di distruzione e sacrificio che, su precisa indicazione dell’autore, accade in occasione della Pentecoste cristiana (dove viene celebrato l’invio dello Spirito Santo, da parte di Gesù risorto, su Maria e gli apostoli. Il colore dei paramenti di questo rito e’ il rosso, simbolo dell’amore dello Spirito Santo. Il suo elemento è il fuoco o meglio “lingue di fuoco”, proprio come quello delle fiaccole. “Lingue di fuoco si divisero e andarono a posarsi su di loro - così recitano gli Atti degli Apostoli- da quel giorno essi poterono predicare il vangelo in lingue che non conoscevano”. Ancora fino al XIX c’era l’usanza di far piovere sui fedeli, durante la messa, dei petali di rose rosse, per evocare appunto la discesa dello Spirito Santo).

Biglietti in vendita presso il botteghino del teatro (lun/ven festivi esclusi 16.30/19.30) e online.

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Prosa - MI CHIEDETE DI PARLARE

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Monica Guerritore è Oriana Fallaci in MI CHIEDETE DI PARLARE

Domenica 18 Marzo 2012 ore 21

con Lucilla Mininno

scritto e diretto da Monica Guerritore

Compagnia Mauri Sturno

Immagino una folle, piccola donna, che torna nel luogo della sua solitudine, quella casa di New York,ora non più sua, coperta di teli di plastica,in attesa di nuovi abitanti. Là nessuno poteva entrare e una grande giornalista, come Lucia Annunziata, descriverà (rivelando una delicatissima personale percezione) “un disordine che inquieta, una donna sola, un tappeto di cicche di sigarette per terra..”

E’ lì che si era rintanata Oriana, nell’ombra. Mentre la Fallaci infiammava il mondo.

“..non guardatemi..” chiederà gentilmente alla fine del mio spettacolo. “...non guardatemi morire…” Non mostrando più niente di sé, Oriana è riuscita a salvaguardare il Mito Fallaci. La sua forza e il suo glamour. E lasciare a noi solo la possibilità di fare delle ipotesi sulle contraddizioni di una grande, rabbiosa, folle donna. La più grande e la più odiata. La prima cronista di guerra, la prima “celebrity”. Forse anche la prima vittima della potenza dell’Immagine. Della sua stessa Immagine.

Il palcoscenico ci aiuterà a capire. Non c’è luogo più del palcoscenico dove non si possa mentire. Nessun luogo (checché ne pensino molti..)

“Una donna non muore se da un'altra parte, un'altra donna, riprende il suo respiro” dice Helene Cixous.

Voglio riprendere il suo respiro. Per capire.

Monica Guerritore

 

Biglietti in vendita presso il botteghino del teatro (lun/ven 16.30/19.30) e online.

 

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Prosa - A CHE SERVONO QUESTI QUATTRINI?

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Martedì 6 marzo 2012 ore 21 - BIGLIETTI ESAURITI
di Armando Curcio
con Luigi De Filippo
Regia di Luigi De Filippo
I Due della Città del Sole

Questa è una commedia di grande attualità.

Andata in scena per la prima volta nel 1940 al Teatro Quirino di Roma, fu una delle più divertenti commedie che resero celebri i grandi fratelli De Filippo, Eduardo e Peppino.

Interpretata, questa volta, da Luigi De Filippo e dalla sua Compagnia di Teatro, racconta le vicende del marchese Eduardo Parascandoli che, diventato serenamente povero, da ricco che era, è un seguace accanito della filosofia stoica.

Insegna il disprezzo per i beni materiali a Vincenzino Esposito, che è il suo più fedele seguace.

Eduardo Parascandoli fa credere a tutti, compreso l’ingenuo Vincenzino, che quest’ultimo ha ereditato una cospicua somma di danaro.

Il suo scopo però, è dimostrare che i quattrini non servono a nulla, e che basta la fama della ricchezza per procurarsi crediti da tutti.

Infatti, attraverso comiche situazioni, ci riesce ed anzi, dimostra che per guadagnare del danaro non occorre né lavorare, né disporre di capitali, ma basta essere furbi.

Con la sua comicità ironica ed amara Luigi De Filippo, considerato ormai fra i più autorevoli rappresentanti del Teatro di grande tradizione napoletana, è l’interprete ideale per questa famosa commedia che ancor oggi diverte e fa riflettere.

Biglietti ESAURITI

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Prosa - QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO

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Giovedì 16 Febbraio 2012 ore 21

di Luigi Pirandello

con Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini

Regia di Ferdinando Ceriani

COMPAGNIA MOLIERE - TEATRO QUIRINO

“Tutto il teatro recita!” scriveva entusiasta Pirandello dopo aver assistito alla prima tedesca di Questa sera si recita a soggetto, scritta nel 1930, durante il suo volontario esilio berlinese. Questa breve, lapidaria, affermazione è una sintesi perfetta delle emozioni che si provano rileggendo l’opera: una prepotente dialettica di suoni, di luci, di colori, di passioni elementari. Giovanni Macchia, in un suo saggio, non esita ad accostarla ai mystères medievali o alle feste carnevalesche dove la realtà veniva sovvertita a favore di un nuovo ordine liberatorio. E, per certi versi, è ciò che avviene in questa commedia “dei conflitti” dove all’autore si sostituisce l’egemonia del regista, poi degli attori, poi del pubblico e infine dei personaggi stessi (… in cerca di un autore?) che prendono il sopravvento. Una grande struttura funambolica in perenne equilibrio tra illusione e verità che può riassumersi proprio in questa breve esclamazione dell’autore: Tutto il teatro recita! E’ un trionfo dell’arte scenica, che vede protagonisti non soltanto gli interpreti di questa storia ma anche le luci, i palchi, la platea, il sipario (Pirandello, nelle sue didascalie, lo muove continuamente, lo fa alzare e calare a ogni scena, a ogni interruzione; lo usa come spartifuoco tra pubblico e palcoscenico) e che si compie pienamente nel terzo atto dove, quasi per scommessa, l’autore riesce a commuoverci con una delle più tragiche e strazianti scene di teatro anche se l'artificio teatrale viene preparato sotto i nostri occhi, nel momento stesso in cui gli attori stanno per divenire dei personaggi! Allora ti accorgi che forse la commedia e' proprio questa: un gioco di equilibrismi su due tavoli da gioco: svelare la macchina dell' interpretazione e, contemporaneamente, esaltarne le potenzialità evocatrici (espressive?), un montare e smontare la macchina scenica, una sorta di “torneo di scacchi giocato tra Diderot e Stanislawskij” come ci suggerisce, con ironia, Giuseppe Patroni Griffi. E questo delicatissimo meccanismo scenico è anche figlio di quella Germania, di quella Berlino in cui viveva Pirandello. Siamo in piena repubblica di Weimar, al centro della rivoluzione culturale dell'epoca, da dove e' partito Gropius, la grande cinematografia tedesca, in cui si affermano l’espressionismo e il teatro di Bertolt Brecht e Kurt Weill. E queste prime annotazioni sono tutti tasselli di un mosaico più ampio che di nuovo ci porta a quel “Tutto il teatro recita!”, sintesi perfetta di una straordinaria macchina teatrale che, forse, non è altro che un potente affresco della vita, grottesca e drammatica. “La vita , o la si vive o la si scrive" diceva Pirandello. Noi, con questo testo, la portiamo in scena.
Biglietti in vendita presso il botteghino del teatro (lun/ven 16.30/19.30) e online.

 

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Prosa - Chi ha paura muore ogni giorno...

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CHI HA PAURA MUORE OGNI GIORNO - I MIEI ANNI CON FALCONE E BORSELLINO

BIGLIETTI ESAURITI

Venerdì 20 Gennaio 2012 ore 21

con Giuseppe Ayala e Francesca Ceci

Mind & Art S.r.l.

In scena un grande albero di Magnolia, simbolo palermitano della lotta alla mafia. Coadiuvato da musiche originali e dalla proiezione di filmati storici, lo spettacolo è idealmente diviso in 3 sezioni: la prima, dedicata ai giudici Falcone e Borsellino e al loro rapporto con Ayala. Per anni condivisero momenti difficili, drammatici ma entusiasmanti allo stesso tempo; un legame cementato dal trascorrere del tempo lavorando fianco a fianco, ma anche dai viaggi e dalle serate trascorse assieme… fino alla loro tragica scomparsa. Nella seconda parte “rivive” lo storico maxiprocesso del quale Ayala fu pubblico ministero. Considerata la prima, grande reazione dello Stato a Cosa Nostra, si svolse in un aula bunker costruita appositamente. Il processo terminò dopo quasi due anni, il 16 dicembre 1987. Per leggere la sentenza servì oltre un'ora: 2.665 anni di condanne al carcere vennero divisi fra i 360 colpevoli, oltre agli ergastoli per i 19 boss principali. Durante l’ultima sezione dello spettacolo, Ayala affronta i temi di oggi: le tante indagini ancora aperte, la grande eredità lasciata da Falcone e Borsellino. Lo fa con eleganza ed umanità ed una comunicativa fuori dal comune, capace di affascinare e conquistare il pubblico che lo segue con il fiato sospeso. In lui c’è la partecipazione di chi quelle vicende le ha vissute sulla sua pelle: c'è gran parte della sua vita sul palco. Ma soprattutto c'è il suo irrefrenabile, deciso, fortissimo desiderio di non far dimenticare, di lasciare una traccia per i più giovani. Non è un attore Ayala, ma uno straordinario oratore dalla voce inconfondibile…che sa arrivare dritto al cuore. E a chi gli domanda se, almeno in parte, si senta un eroe, risponde: “Sono solo una persona come tutti gli altri”.

 

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