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ROMEO E GIULIETTA

ROMEO E GIULIETTA
Romeo e Giulietta è un grande testo e un grande classico, interpretato da molti giovani e che parla ai giovani. Il teatro diviene luogo di formazione, come osserva il Sindaco, ospitando uno spettacolo da molti anni non rappresentato a Lanciano e che è possibile riscoprire ogni volta. In questo caso si parla di un “particolare” Romeo e Giulietta, una versione completa (di quasi tre ore) che vanta una traduzione fedele, fatta di rime baciate e assonanze. L’intera vicenda è immersa in un ‘800 favolistico, suggerito in maggior misura dai costumi dell’immaginario del cinema di Tim Burton, che si confronta con un allestimento, al contrario, abbastanza classico. La compagnia esibisce con orgoglio il continuo cambiamento dei personaggi, scelti attraverso dei provini, e sostituiti di anno in anno. Si parla di un testo che assieme alla riflessione sui temi più “classici”e universali come Amore e Odio, esamina anche il complesso rapporto tra giovani e adulti, e la conseguente incomunicabilità e incomprensione tra essi, oltre al problema del divario generazionale. Lo stile poetico di Shakespeare è costruito su un linguaggio difficile, quasi Barocco, che fa uso del pentametro giambico, che accosta l’elegante al triviale o spesso al volgare; al contrario la regia fornisce un riadattamento più moderno, che fa uso dell’endecasillabo e di rime baciate in versi sciolti e melodici, accompagnati da versi liberi più ruvidi e attoniti. Alla domanda di cosa abbiano percepito gli interpreti della personalità geniale di Shakespeare, gli attori rispondono di essersi confrontati con un autore che riesce a rendere a pieno la personalità umana, permettendo anche al più piccolo dei personaggi di risultare un’immensa terra da scoprire.
Stefania Blasioli Liceo Classico II A

TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE

TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE
Il musical, un’ occasione sempre più apprezzata e amata per ritrovarsi a teatro, anima la commovente trama di “Tutti Insieme Appassionatamente” , tratta da una storia vera. La frizzante ed esplosiva Maria , una novizia del convento di Salisburgo, che si appresta a prendere i voti, deve alla sua indole esuberante una struggente e appassionata avventura nonché una grande storia d’amore. La madre superiore si vede costretta dalla vivacità di Maria a mandare la giovane via dal convento affinchè ritrovi in sé stessa maggior rigore e devozione cimentandosi nel ruolo di istitutrice nella casa del vedovo Capitano Von Trapp; questa viene incaricata di badare ai sette terribili figli di lui, diffidenti e dispettosi nei confronti della nuova governante. Maria riuscirà grazie alla musica, unica vera protagonista trionfante della rappresentazione, a conquistare non solo la fiducia ma anche l’affetto dei sette ragazzi. L’amore nascente tra Maria e il Comandante sarà complesso, travagliato e costantemente contrastato dalla fede di Maria, dal fidanzamento dell’uomo con la ricca baronessa Shraeder, dalle vicissitudini storiche sullo sfondo della Germania nazista, e infine dalla fuga obbligata della famiglia in Svizzera in seguito all’annessione dell’Austria alla Germania. Il grande amore dei due giovani, anche grazie all’aiuto fondamentale delle suore del convento, sarà tuttavia ugualmente degno di uno stupefacente lieto fine. L’esplosiva messa in scena diretta da Fabrizio Angelini plasma tra le scene i talenti nascenti della giovane compagnia di Ortona, un ambizioso gruppo di ragazzi (e anche bimbi) trascinati in una rigorosa vita da teatro, uniti da un forte spirito di gruppo ma soprattutto da una grande passione e una grande grinta; avvicinare giovani ragazzi ad un’ arte pura e complessa si rivela tutt’altro che un tentativo avventato: i ragazzi, certamente emersi da studi e selezioni, sono infinitamente grati della loro esperienza, se pur amatoriale, nella promettente compagnia emergente. La passione dei ragazzi si rivela decisamente sufficiente a donare al musical tutte le sue più coinvolgenti caratteristiche, come le melodie briose, le ordinate coreografie e la complessa armonia scenica con tutte le sue più rigorose regole. Il canto molto curato porta la rappresentazione ad un livello mediamente alto, e fortunatamente la recitazione non ne risente, grazie ad un’ interpretazione precisa; meno brillanti sono le coreografie che tuttavia risultano pur sempre movimenti armoniosi all’interno della scenografia semplice e simbolica ma del tutto efficace. Dunque possiamo definire l’operato di questa compagnia un esperimento perfettamente riuscito, vincente e incredibilmente promettente, concentrato e pronto all’ascesa per il successo. In bocca al lupo ragazzi!
Stefania Blasioli, Liceo Classico II A

LA PURGA

LA PURGA
La Purga: un titolo emblematico è ciò che apre il sipario su molto più di un’esilarante commedia di Feydeau; il celebre scrittore francese, grande anticipatore della’commedia all’italiana’ degli anni ’70-’80, è maestro di commedie brillanti, proprie di uno spiccato senso del ritmo, giocate su equivoci, tradimenti, incidenti e incompiutezze, aggrappati a meccanismi sapientemente costruiti che possono dirsi frutti della follia, che guidò l’autore fino alla morte. La vicenda si costruisce su due plot. La prima storia narra di un industriale, costruttore di sanitari, che entra in rapporti con un importante funzionario del Ministero della difesa, responsabile di una commissione d’appalto per la distribuzione di vasi da notte nell’esercito, sanitari contraddistinti da una paradossale porcellana infrangibile, un’ossimorica invenzione basata sull’assurdo. Questa prima situazione viene letteralmente inghiottita da una seconda, che ruota attorno alla vita familiare del commerciante, e che ne vede al centro un’unica questione: Totò, il bambino, deve essere purgato. Nella commedia emerge lentamente un’idea criminale della famiglia che prende vita in un ambiente terribilmente cinico; il più lampante paradosso è probabilmente il bambino Totò, un bimbo cattivo, dispettoso, indifferente ad ogni qualche sentimento dei genitori. Totò viene interpretato da un adulto, privando il personaggio di tutta la sua già remota innocenza e creando un bimbo-mostro, tuttavia non meno mostro dei suoi genitori, iperprotettivi ma, ciò nonostante, non realmente interessati al piccolo. Un complesso castello di carte anima i personaggi strambi, ridicoli, contraddittori, privi di pudore e caratterizzati dal gioco dell’assurdo; all’apice troviamo un funzionario che, pur basando la sua vita sulla guerra, non ha mai vissuto l’esperienza militare, e una moglie, colpita da una malattia che favorisce anche in questo caso un rapporto conflittuale con il basso ventre. Al tutto si aggiunge la crisi del matrimonio dell’industriale, esplicitata da battibecchi continui, discussioni, accuse, invettive e sospiri. A. Cirillo, regista e attore della rappresentazione, si definisce una mente malata, un po’ come Feydeau, reinventando un “proprio” Feydeau capace di stupire ancora di più; si colgono facilmente nello spettacolo riferimenti ispirati ad opere cinematografiche come quelle di Kubrik o Bunnel, che contribuiscono a creare sul palcoscenico un mondo lisergico mirato alla derisione della società. Veri protagonisti della commedia potremmo definire i sanitari, i “cessi”, considerati opere d’arte e punti fondamentali dell’ambientazione, affiancati dall’atto del ‘defecare’, costantemente e incessantemente presente, tuttavia mai nominato o esplicitato a parole, decisione dell’autore con l’intento di palesare la ridicola ipocrisia sociale; questi temi nevralgici delle vicende causano un susseguirsi di dialoghi banali, minuziosamente incastrati in un fluente atto unico. L’iperrealismo a cui si arriva grazie all’esasperazione dei punti realistici porta lo spettatore a ridere cattivamente, addirittura quasi in modo sadico, portando la commedia ad avere uno scopo prettamente provocatorio rivolto ai convenzionalismi e all’ipocrisia della società, e tipico del teatro borghese. L’argomento più anticonvenzionale e inusuale guida una danza folle che trascina i poveri personaggi incoscienti in un vortice impazzito ricco di contraddizioni ed esasperazioni dell’ipocrisia di cui ciascuno è schiavo.
Stefania Blasioli, Liceo Classico II A

MISERIA E NOBILTÀ

MISERIA E NOBILTÀ
“Miseria e Nobiltà” è una vecchia signora commedia, che porta sulle spalle 125 prodigiosi anni di vita dal 1888 a oggi e che porta con sé una realtà mai davvero vecchia e mai del tutto nuova, che probabilmente fa ridere oggi ancora più di allora. Il famoso testo di Eduardo Scarpetta è un classico immortale che vanta numerosissimi remake, primo fra tutti il celebre film di Mario Mattioli con le storiche interpretazioni di Totò e Sophia Loren. Geppy Gleijeses adatta la commedia ad un palcoscenico odierno in modo un po’ diverso ma senza distaccarsi troppo dalla tradizione, sarà per questo che un testo così datato funziona ancora tanto bene, ricco di innovazione e intriso di tradizione. Il primo atto trascina il pubblico in una situazione di pura miseria; la scena è essenziale e priva di ogni cosa, gli abiti di stracci, i volti magri, i sorrisi amari; l’atmosfera è tesa, piena di rancori inespressi, accuse a mezza voce, rimorsi, rimpianti e rassegnazione; il tempo è fermo e sembra non passare mai. L’ ironia dei personaggi, le voci e le battute perfettamente incastrate, le interpretazioni immensamente arricchite dalla grande povertà dominano sulla situazione spaventosamente realistica. Il secondo atto è quello della finzione, della nobiltà fasulla e della ricchezza apparente; la scenografia è di carta, i vestiti presi in prestito, il benessere, l’allegria e persino i sentimenti simulati; questa è la metafora di una nobiltà che non ha più il suo significato. Intanto equivoci e colpi di scena fanno capolino in un secondo atto tutto da ridere. Una commedia come questa conquista il più vario e disparato pubblico, ma soprattutto ha il privilegio non solo di far ridere, ma anche di invitare lo spettatore a riflettere. Il mondo napoletano farcisce il tutto, pur senza indugiare in un linguaggio dialettale chiuso ed estremo; per questo la simpatica cadenza meridionale colora la scena e la cala nel più pittoresco e crudo realismo, rivelando la storia di un paese come Napoli che la fame l’ha conosciuta sul serio. Da non trascurare la spettacolare interpretazione di Lello Arena (Pasquale) e di tutti i personaggi tra cui il piccolo e misurato interprete nella parte di Peppiniello, ruolo di esordio di tutti i più grandi attori della storia napoletana.
Stefania Blasioli Liceo Classico II A

Romeo e Giulietta

Lo scorso 13 Febbraio al Teatro comunale Fedele Fenaroli di Lanciano è andata in scena la rappresentazione della storia d\\\'amore più famosa al mondo: Romeo e Giulietta. La tragedia di William Shakespeare ha come al solito riscosso molta curiosità tra il pubblico lancianese. La storia dei due giovanissimi protagonisti che un breve incontro ha fatto scoccare in loro il nobile sentimento dell\\\'amore sono diventati e continuano ad essere il simbolo di un amore sincero contrastato dalla società. Una società divisa tra Montecchi e Capuleti. A far da sfondo alla storia è la città italiana Verona.
La compagnia teatrale ha cercato il più fedelmente di riportare in scena il testo originale non venendo meno neanche alle frasi in rima baciata di difficile resa sicuarmente nella traduzione italiana.

Beatrice Collini III A Liceo Classico \\\"V. Emanuele II\\\", Lanciano

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