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La verità nascosta

Lo spettacolo andato in scena il 26 aprile 2012 al teatro Fenaroli è intitolato \\\"La fiaccola sotto il moggio\\\",questa è una tragedia di Gabriele D\\\'Annunzio ambientata ad Anversa degli Abruzzi,presso le\\\"gole del sagittario\\\" in provincia dell\\\'Aquila,al tempo di Ferdinando I,re di Borbone,nel giorno della vigilia della Pentecoste. e scritta nel 1905 .Il dramma tratta gli ultimi istanti di reggenza della famiglia dei \\\"Di Sangro\\\" al castello normanno di Anversa ed è ambientato nel XX secolo agli albori della Grande Guerra. Come La figlia di Iorio, anche La fiaccola sotto il moggio è di ambientazione abruzzese ed è scritta in versi. Dentro questa cornice di spazio e di tempo, si apre il primo atto: nell\\\'antica e decaduta casa dei \\\"de Sangro, ricorre il primo anniversario della morte della contessa Monica,soprannominata Loretella. Gigliola, la figlia, confessa alla nonna Aldegrina il proprio dolore per l\\\'assenza della madre, ma anche l\\\'incontenibile odio che ella nutre per la matrigna Angizia, ex serva che il padre di Gigliola,il principe Tibaldo, ha sposato in seconde nozze a seguito della vedovanza. Il terribile sospetto è che Tibaldo possa avere ucciso la moglie proprio per poter sposare Angizia. Tutta la famiglia dei de Sangro sembra portare i segni della medesima decadenza e corrosione cui è soggetta la casa paterna, a cominciare proprio da Tíbaldo, incapace di sottrarsi all\\\'influenza della nuova moglie. Il fratellastro, Bertrando Acclozamòra, è legato a Tibaldo da un rapporto di reciproco odio alimentato dalla leggendaria avarizia che li accomuna; l\\\'ultimogenito diciassettenne di Tibaldo, Simonetto, fratello di Gigliola, è una creatura fragile e abulica. Gigliola, in un duro confronto con il padre, esprime i suoi sospetti in merito alla morte della madre e lo spinge a liberarsi della sua ex serva,ma Tìbaldo nega qualsiasi coinvolgimento nella morte della prima moglie e, succube di Angizia, ne difende la presenza. Quest\\\'ultíma, invece, confessa con orgoglio la sua colpa e accenna a una presunta complicità del marito il quale recisamente nega.A questo punto compare in scena il «Serparo», Edia Furia, padre di Angizia, che però da costei è rinnegato.Nel secondo atto Gigliola vigila sul fratello Simonetto, nel timore che la matrigna voglia avvelenarlo. Ella è mossa da un irrefrenabile desiderio di vendetta nei confronti di Angizia, la quale, di fronte ad Aldegrina, dichiara l\\\'inettitudine del marito e ribadisce la complicità di lui nell\\\'omicidio della contessa. Gigliola, così, non può che confermarsi nell\\\'irremovibile proposito di morte: dovrà uccidere Angizia, per vendicare la madre, ma dovrà anche uccidere se stessa per non sopravvivere all\\\'onta e all\\\'orrore della complicità paterna nell\\\'omicidio.Il terzo atto porta allo scontro aperto tra Angizia e Gigliola. Quest\\\'ultima, che era uscita al tramonto per incontrare il padre di Angizia e sottrargli delle serpi velenose, si prepara al tragico gesto della vendetta, non prima di aver messo al corrente dell\\\'omicidio della madre e della colpevolezza di Angizia anche il fratellino Simonetto, il quale rimane sconvolto dalla notizia. Intanto, Angizia e Bertrando (sospettati, da Tibaldo, di essere amanti) intimano al Serparo di allontanarsi. E il Serparo, esperto nell\\\'antica e tradizionale arte marsica dell\\\'allevamento delle serpi, a metà fra medicina e magia, scaglia contro la figlia una maledizione che l\\\'atterrisce.Il quarto atto porta la vicenda al culmine della tragicità e al conseguente scioglimento finale. Gigliola prega la nutrice Benedetta di accendere le fiaccole della cappella, a significare un imminente sacrificio: infatti ella immerge le mani nella sacca delle serpi e se ne fa mordere (atto sacrificale che serve per farsi perdonare l\\\'omicidio vendicativo che vuole commettere). Poi corre verso la stanza di Angizia per ucciderla, ma la trova già morta, soppressa dallo stesso Tibaldo che ha compiuto il gesto per evitare che lo facesse la figlia e per lavare con il sangue tutta la sua colpevolezza.Fino all\\\'ultimo Gigliola aveva sperato che fosse stato il fratello, Simonetto, a vendicare la morte della loro madre; egli, puro come lei, avrebbe potuto lavare la colpa, mentre il padre potrebbe aver ucciso Angizia solo per impedirle di confessare la loro complicità. La missione vendicatrice di Gigliola viene così vanificata e, soprattutto, ella muore prima di conoscere l\\\'identità del vero colpevole. La fiaccola votiva, allora, dovrà essere lasciata spenta sotto il moggio di fronte al fallimento del sacrificio.Nella Fiaccola sotto il moggio D\\\'Annunzio sembra aver voluto affrontare il lato oscuro della tragedia dei moderni contro la linearità della tragedia antica. Non più, dunque, il trionfo della morte come vittoria del bene sul male, piuttosto, del trionfo del male che si annida all\\\'interno degli stessi rapporti familiari, malati e corrotti, e alla cui base sta, violento e primitivo, l\\\'impulso del sesso,che si configura come maledizione, distruzione e morte.Il moggio, una specie di piccolo tino usato come unità di misura per le granaglie, rimanda al mondo contadino, nel cui ambito si svolge la storia, mentre il detto “tenere una fiaccola sotto il moggio” significa “possedere una verità nascosta”, che è appunto quella della farneticante e quasi folle Gigliola, la quale intuisce la vera causa della morte materna, ma non la manifesta ed è alla fine sopraffatta nel suo impeto vendicatore dal destino, implacabile signore delle ombre e unico arbitro delle vicende umane.Il taglio delle scene è scarno, immediato e, per alcuni aspetti, modernissimo. Meno moderno, ma indubbiamente coinvolgente, è il linguaggio, la cui edificazione risente non poco del modo fluviale, tipicamente dannunziano, di usare parole desuete, privo com\\\'è di quel rapporto diretto con la lingua parlata,lo scrittore da sfoggio di arcaismi, arditezze sintattiche, toscanismi, pure invenzioni letterarie,comunque non prive di fascino e di musicalità.In questa tragedia D’Annunzio prende le mosse dallo spirito del teatro classico greco, costruito sulla sconvolgente rottura dei vincoli del sangue, ricreando un’atmosfera in cui le due protagoniste femminili, quali novelle eroine eschilee, ripetono il conflitto tra Elettra e Clitemnestra. Tuttavia D’Annunzio fa vivere la tragedia moderna come infrazione dell’onore e crea personaggi mossi da inquietudini moderne, conflitti familiari, malattie interiori e tensioni ossessive che potrebbero essere di interesse psicanalitico. In essi la verità ricercata come luce rimane purtoppo nascosta,come la fiaccola di biblica memoria e così si trasforma nell’attualissima ricerca della vendetta del dolore della sofferenza e della morte.Una tragedia affascinante,misteriosa e intrigata che non può essere non vista! Sara Cavacini,III C,liceo classico Vittorio Emanuele II
Ultima modifica ilLunedì, 14 Maggio 2012 09:38

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