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Chi ha paura muore ogni giorno

“Chi ha paura muore ogni giorno”
È un esempio di teatro sociale lo spettacolo “Chi ha paura muore ogni giorno”. È la trasposizione teatrale del libro scritto da G. Ayala qualche anno fa.
Ciò che ha spinto l’autore a questa operazione divulgativa e lo racconta lui stesso all’inizio della sua performance: un bisogno di testimonianza soprattutto ai giovani, la verità di quegli anni terribili che vanno dalle stragi di mafie negli anni ottanta fino al maxiprocesso e alla morte di Falcone e Borsellino.
È la ricostruzione della storia del palazzo di giustizia di Palermo, della nascita del pool antimafia e della sua fine, ma anche la storia di un’amicizia profonda, di una grande collaborazione a livello professionale e umano, di una suddivisione di momenti importanti della storia della lotta alla mafia nel nostro Paese.
Ayala rivela doti di grandi affabulatore: il racconto dei fatti è lucido, incisivo ed essenziale, inframezzato anche da aneddoti che rivelano aspetti della vita privata dei protagonisti, del loro carattere, e della loro profonda umanità. Insieme hanno vissuto momenti terribili, come la morte del generale Dalla Chiesa, di Rocco Chinnici, e di tanti altri, che hanno dato la loro vita al servizio dello stato. Ma anche il racconto del metodo innovativo introdotto da Falcone nella lotta alla mafia: fare lavoro di squadra, seguire le inchieste anche fuori dall’Italia, andando di persona. Fu proprio questo “metodo Falcone” che portò all’arresto di Buscetta in Brasile, le cui rivelazioni permisero sia di conoscere la mafia come struttura di potere , con un’organizzazione gerarchica al suo interno, sia di smantellare ”la cupola mafiosa”, con arresti eccellenti.
I successi del pool antimafia, diretto dal consigliere istruttore Caponnetto, con Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta, sono il frutto di una dedizione statale, di grande professionalità e di grandi sacrifici.
Per un lungo periodo, per esempio, Falcone e Borsellino, furono costretti non solo a vivere sotto scorta, ma anche a trasferirsi con le rispettive famiglie nel carcere dismesso dell’Asinara per sfuggire al rischio attentati. Tutto cambiò nel 1988, dopo la conclusione del maxiprocesso, quando Caponnetto che cominciava ad aver problemi di salute, ritornò a Firenze dove aveva lasciato la sua famiglia. Falcone era la persona più adatta a prendere il suo posto, ma le cose andarono diversamente. Il Consiglio Superiore della Magistratura nominò invece un’altra persona con il requisito di maggiore anzianità, che non aveva mai condotto inchieste sulla mafia, ma soprattutto che non condivideva il lavoro di squadra. Fu la fine del pool antimafia.
Il racconto di Ayala è supportato anche dall’ausilio di video, che ricreano momenti significativi, intensi, dichiarazioni di Falcone, Borsellino e Caponnetto. Toccanti le parole di Caponnetto dopo la strage di Capaci: per lui Falcone era stato lasciato solo e aveva cominciato a morire nell’88 dopo lo smembramento del pool. Fa riflettere l’affermazione che Ayala fa nell’ultima parte quando, usando una metafora calcistica,dice che lo stato ha vinto la partita con le Brigate Rosse, ma non ha vinto quella con la mafia. Perché? Perché questa partita è intralciata in quanto nella squadra-stato ci sono infiltrati dell’altra squadra!Inquietante! Lo spettacolo si conclude con un gesto simbolico di Ayala che depone un biglietto sotto “l’albero Falcone”, la magnolia (ricostruita sulla scena) che cresce sotto la casa del magistrato assassinato , che è diventato testimonianza della cresciuta consapevolezza dell’opinione pubblica nei confronti di questa piaga. Egli esprime così il bisogno di coltivare l’illusione che Falcone possa leggere ogni giorno tutti questi biglietti che sono là come segno di una memoria collettiva.

Ultima modifica ilGiovedì, 16 Febbraio 2012 09:55

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