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La Locandiera - 15 gennaio 2009

Jurij Ferrini ha portato in scena “La Locandiera”,un classico,il capolavoro per eccellenza di Goldoni che,privato di ogni arcaismo e di ogni vezzo,si è rivelato quanto mai attuale,vivo e pulsante;spettacolo che comportava,almeno per definizione,la presenza sul palco di una grande complessità di scene,costumi ed attrezzeria varia. Il regista ha invece deciso di agire diversamente:ha deciso di eliminare tutto ciò che fosse di ostacolo all’azione. Infatti i personaggi si trovavano tutti contemporaneamente sulla scena e recitavano a turno,la scena stessa era molto scarna e semplice,ma non per questo priva di valore,e gli attori non recitavano nemmeno con costumi che ricordassero almeno lontanamente il periodo storico in cui la vicenda era ambientata. Infatti nel teatro goldoniano l’azione è destinata ad essere interrotta dalle vicende che invadono i personaggi:solo la parola e il dialogo prevalgono. Lo spettacolo si è dunque presentato molto comico,elegante e a tratti provocatorio.
Provocatorio perché la stessa figura della serva amorosa rappresenta in’immagine singolare,più volte ripresa nel mondo del teatro del Settecento ma non solo,e che all’interno dello spettacolo ci pone di fronte ad un interrogativo cruciale,che riguarda l’emancipazione femminile:è stata davvero raggiunta? L’uomo teme ancora la donna o essa ha smarrito il suo ruolo? La storia stessa,che si svolge nell’arco di una sola giornata,però,non si chiude con un lieto fine. Proprio per la particolarità della figura femminile,Mirandolina,il cavaliere si troverà a soffrire per un amore non corrisposto e,non per una semplice questione di orgoglio maschile ferito, a maledire le donne. Due sono i pilastri su cui poggia lo spettacolo:prima”;in secondo luogo,i continui riferimenti nello spettacolo alla pulizia e alle armi del gusto,armi queste ultime,che permetteranno a Mirandolina di far cadere il cavaliere ai suoi piedi.

Giulia Bellisario, IIB Liceo Classico Lanciano

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