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CHI HA PAURA MUORE OGNI GIORNO

di GIUSEPPE AYALA, LANCIANO, TEATRO FENAROLI, 20 GENNAIO 2012, PROGETTO “TEATRANDO”,LICEO GINNASIO “VITTORIO EMANUELE II”, DI GIUSEPPE MARINI ,IA, ANNO SCOLASTICO 2011/2012.

 

Presentando la "trasposizione teatrale" del suo saggio "Chi ha paura muore ogni giorno"(Mondadori, 2009), Giuseppe Ayala, ormai ritirato dagli uffici giudiziari, racconta gli anni della sua carriera e quella di altri insigni magistrati nel periodo dall' 1982 agli attentati del '92. Narra ciò focalizzando in maniera particolare il suo rapporto con i giudici Giovanni falcone e Paolo Borsellino, con i quali condivise gran parte della propria carriera, anche sotto il punto di vista umano, mentre erano tutti impegnati nella lotta alla criminalità organizzata(nella fattispecie "Cosa Nostra"). Difatti il titolo è tratto da una frase di Borsellino divenuta poi simbolica.

L'idea della trasposizione teatrale era originariamente nata, come riporta lo stesso Ayala, nel 2009, come una sorta di monologo con una spalla(Francesca Ceci), da rappresentarsi in poche repliche.

Contrariamente a quanto ipotizzato da Ayala, la rappresentazione del giorno 20 gennaio 2012 al teatro Fedele Fenaroli di Lanciano è da numerarsi oltre la centesima messa in scena.

Così, esponendo i fatti che si dispiegano dal "maxiprocesso" alle confessioni dei pentiti, come il famoso boss Tommaso Buscetta, enumera stragi e tragedie, dedicando un pensiero alla memoria di quanti hanno perduto la propria vita in nome della giustizia e dell'onestà.

A simboleggiare la memoria in onore dei "caduti" di mafia , campeggia nel retroscena dello spettacolo una riproduzione dell' "Albero Falcone", albero di magnolia presente vicino all' abitazione del giudice e sul quale è consuetudine porre dei messaggi scritti su dei foglietti dedicati proprio a Falcone, Borsellino ed agli altri funzionari "sopraffatti" fisicamente dalla mafia, in segno di speranza e di ringraziamento per il loro operato e per la loro umanità.

Il giudice Ayala, come specifica egli stesso, non si sente un sopravvissuto alle ritorsioni ed agli attentati mafiosi, ma un testimone di quegli anni così delicati per il nostro paese.

Non presentando così i "caduti" come eroi e come risolutori della piaga della criminalità organizzata, lancia un monito a noi cittadini, ponendoli però come esempio per noi cittadini in modo che seguiamo quanto ci è più possibile la legalità.

Precisa poi, con grande amarezza, che la lotta a cosa nostra non è più forte come nei momenti del pool antimafia e, che anzi, lo stato non l'ha più incentivata, con un conseguente proliferare delle organizzazioni mafiose

A suggellare queste affermazioni, conclude il monologo lasciando anch'egli un messaggio fra i rami dell' albero di magnolia sul palco, dicendo, con una frase intrisa di significati, che quel biglietto Falcone e Borsellino lo avrebbero letto davvero.

 

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