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A che servono questi quattrini?

La celeberrima commedia del teatro napoletano “A che servono questi quattrini?” fonde sapientemente precetti e proverbi attinti dalla cultura popolare, antiche dottrine filosofiche e situazioni quotidiane estremamente familiari, aggiungendo al tutto un pizzico di creatività e fantasia, quest’ultimo elemento fondamentale nell’azione teatrale per permettere al pubblico di estraniarsi dalla realtà e immedesimarsi nella vicenda scenica. Il marchese/professore Parascandolo impartisce all’ingenuo Vincenzino e a tutti noi spettatori grandi lezioni di vita, (come l’inutilità del denaro, l’esaltazione dell’otium) che faticano a trovare spazio in un mondo capitalistico, plutocratico e opportunista come il nostro. Sebbene molti dei personaggi costituiscano dei veri e propri tipi, alcuni di essi si presentano dotati di una grande profondità morale come il professore il quale però dimostra di possedere anche un altro volto abile nelle faccende più pratiche e meno onorevoli. Dall’altra parte, il carattere facilmente malleabile e genuino di Vincenzino induce il personaggio ad affrontare una evoluzione psicosociale nel suo modo di vedere la realtà. E’ da elogiare la grande versatilità degli attori nel saper ricoprire numerosi ruoli mantenendo la loro originalità. La lingua napoletana risulta uno strumento efficace di comicità, realismo e immediatezza conferendo all’opera quel tocco mediterraneo. Un tema centrale è il relativismo dello scibile, tipico tratto del teatro contemporaneo a partire principalmente dal modello pirandelliano: ciò che accade può essere interpretato quanto in maniera negativa quanto positiva a seconda della situazione, della personalità e della cultura, e può aprirci nuove porte percorribili in innumerevoli modi differenti. Anche la nostra stima relativa ad una persona muta irrimediabilmente in base alla nostra percezione sociale. La trama del dramma scorre in maniera godibile, il che invita anche a più di una visione.

Francesco Foscoli

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